DEDUCIBILITÀ DELLE PERDITE SUI CREDITI

Deducibilità delle perdite su crediti

Deducibilità delle perdite su crediti

 

Le perdite su crediti, per quel che concerne la deducibilità ai fini delle imposte sul reddito, sono disciplinate dal D.P.R. 917/86 (Testo Unico Imposte sui Redditi) nell’art.66 (minusvalenze patrimoniali, sopravvenienze passive, perdite) e nell’art.71 (Svalutazione dei crediti e accantonamenti per rischi su crediti).

L’art. 66 al comma 3° così recita “…le perdite sui crediti sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi e in ogni caso, per le perdite su crediti, se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali”.

Deducibilità delle perdite su crediti quando è possibile? La deducibilità delle perdite su crediti è subordinata a requisiti di certezza e precisione degli atti o delle fattispecie in genere che le determinano.

Tali requisiti si riscontrano con certezza, così come riconosciuto anche dall’Amministrazione Finanziaria, nelle seguenti situazioni emergenti nell’ambito di un’azione legale intrapresa per il recupero del credito: atto di pignoramento con esito negativo o documento analogo. irreperibilità del debitore documentata a seguito d’intervento degli Uffici Giudiziari, anche l’avvenuta prescrizione del credito comporta un elemento certo per la deducibilità.

È noto che non sempre è conveniente adire le vie legali per recuperare i propri crediti, specie se sono di modesto importo, se risulta che il debitore abbia una modesta consistenza patrimoniale o che l’onerosità dell’azione giudiziale sia rilevante o addirittura maggiore in rapporto all’entità della somma da incassare.

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Deducibilità delle perdite su crediti

In alcuni casi di azioni legali, l’acquisizione di quegli elementi certi e precisi che consentono di poter imputare a costo i crediti considerati di fatto non recuperabili diventa meno formale, così come consentito dall’Amministrazione Finanziaria (v.ad es. Risoluzioni 9/517 del 6.9.80 e 9/124 del 6.8.1976 – Dir.II.DD), anche se la documentazione o le prove conservate agli atti diventano sicuramente oggetto di valutazione.

Va tenuto conto del fatto che ambedue le risoluzioni citate sono precedenti al testo del T.U.I.R. attualmente in vigore, e quindi possono essere soggettivamente considerate dall’accertatore superate dalla esigenza di “elementi certi e precisi”.

La seconda parte dell’art.66 consente di imputare a “perdita” (costo) i crediti vantati verso debitori assoggettati a procedure concorsuali; in merito ricordiamo che tali procedure sono: il fallimento, il concordato preventivo, la liquidazione coatta amministrativa, l’amministrazione straordinaria (grandi imprese in crisi), resta pertanto esclusa l’amministrazione controllata.

La suddetta previsione normativa riguarda solo l’ipotesi in cui il debitore sia un imprenditore commerciale (…non piccolo), perché si rammenta che taluni soggetti, quali quelli sotto elencati, non sono per legge assoggettabili a procedure concorsuali: privati, professionisti, ditte individuali o società cessate da oltre un anno, aziende artigiane, piccoli imprenditori e aziende agricole (salva diversa interpretazione normativa e valutazione de taluni Tribunali), enti morali, pubblici o privati, senza scopo di lucro.

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Secondo la dottrina prevalente la norma che prevede gli “elementi certi e precisi” non attiene alla cessione del credito in quanto alla stessa non andrebbe applicato l’art.66 comma 3, ma bensì l’art.66 comma 1, in quanto si tratterebbe di atto di disposizione di un bene, da cui consegue una minusvalenza anziché una perdita su crediti.

Deducibilità delle perdite su crediti e cessioni. Al di là di ogni considerazione di ordine dottrinario indubbiamente la cessione del credito perfezionata con l’osservanza di tutte le norme riveste piena certezza giuridica e il credito esce dal patrimonio del cedente. Con tale operazione il cedente consegue una perdita, pari alla differenza tra il valore nominale ed il prezzo di cessione del credito, riconosciuta come “costo deducibile” anche dall’Amministrazione Finanziaria (R.M. 13.03.1982 n. 9/634).

Tale fattispecie non si configura nella cessione pro solvendo, in quanto le relative iscrizioni di bilancio non comportano la registrazione di una perdita. Con la cessione pro soluto il cedente non solo evita il pagamento di imposte su utili fittizi, bensì consegue altri rilevanti vantaggi, anche se non tutti di immediata valutazione monetaria, quali: un’entrata finanziaria, seppur non consistente, dall’incasso del prezzo di vendita del credito, un risparmio sui costi amministrativi imputabili alla gestione interna del recupero del credito, la possibilità di stralciare dal bilancio poste attive non più realizzabili, rendendo più veritiera e corretta la rappresentazione della situazione patrimoniale, adeguandola al dettato dell’art. 2426, inc. 8 del Cod. Civ.

Da ultimo si ricorda il dettato dell’art. 71 T.U.I.R., sopra richiamato, che in ordine alla deducibilità delle perdite sui crediti così dispone al comma 2° “Le perdite sui crediti di cui al comma 1, determinate con riferimento al valore nominale o di acquisizione dei crediti stessi, sono deducibili a norma dell’art.66, limitatamente alla parte che eccede l’ammontare complessivo delle svalutazioni e degli accantonamenti dedotti nei precedenti esercizi.

L’articolo in esame impone la preventiva imputazione al “Fondo svalutazione crediti”, eventualmente esistente in bilancio e costituito con le modalità ed i limiti di cui al comma 1, delle perdite sui crediti conseguite nell’esercizio, consentendone l’iscrizione tra i costi solo per la parte eccedente.

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